lunedì 2 novembre 2015

Michael Nyman - Live (1994)

Occorre diffidare un po' di Michael Nyman.
Una vena di freddo intellettualismo percorre la sua musica così come le opere di Peter Greeneway, il regista a cui regalò numerose colonne sonore.
In lui il minimalismo (fu lui, peraltro, a coniare tale termine) si spoglia della propria ipnotica ossessività per farsi accettare da un pubblico acculturato, e indubbiamente borghese; e per borghese intendo: lontano dalla tradizione, dalla natura, dal passato; un po' sicuro, torpido, benestante, compiaciuto; turistico.
Allo stesso modo occorre decidere su Michael Nyman: egli è autore veramente colto oppure personaggio midcult? Attinge, insomma, ad autentiche vette artistiche oppure piega la vera arte all'apprezzamento di un pubblico che aspira solamente a rendersi protagonista di un evento culturale (come quei tipi che fanno la fila alle mostre degli Impressionisti pur non capendo un acca né di pittura né di Impressionismo)?
Di tale disco segnalo i vorticosi mulinelli sonori di Water dances: stroking e l'incedere straniante di Bird list; The piano, colonna sonora dell'omonimo film di Jane Campion, mi sembra, a distanza di anni, sì piacevole, ma, al contempo, di facile vena (come il film, insomma); in una parola (una parola inventata da Dwight McDonald): midcult.

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